Ad aprile 2015 la storia di Giovanni Grillo viene inserita tra le testimonianze del libro “Possa il mio sangue servire” di Aldo Cazzullo edito da Rizzoli, da cui è tratto il brano.
Neppure la tubercolosi piegò mio padre
Avevo 11 anni quando mio padre è morto. Morto per i postumi della malattia, contratta durante l’internamento nel lager.
Era il 26 settembre 1941 e mio padre, che aveva 24 anni, fu richiamato alle armi e inviato in Albania. Dopo l’armistizio venne catturato a Durazzo. Deportati su carri bestiame, stipati peggio di animali, rinchiusi in vagoni ferroviari, dopo tre giorni senza cibo e pochissima acqua, senza servizi igienici, mio padre e gli altri catturati raggiunsero il campo di concentramento Stammlager XIIF-ARBKD 2039. Gli misero al collo un cartello con il numero 02584 per annientare la sua identità. Non ci riuscirono. Due mesi dopo la cattura, il Comitato internazionale della Croce Rossa a Ginevra: comunicò alla sua famiglia che Giovanni Grillo era prigioniero in Germania senza specificare la località d’internamento. Solo nel 1944 arrivò la sua prima lettera ai familiari. Per lui contava solamente tranquillizzare la sua famiglia.
Nel lager mio padre doveva lavorare 18 ore al giorno, sette giorni su sette come bestia da soma; per sfamarsi era costretto a recuperare le briciole di patate rimaste attaccate alle bucce e poi divorare le bucce stesse. Fu messo nella condizione di frugare nelle immondizie come cane randagio e di raccogliere dai mastelli del rancio anche minimi avanzi melmosi della sbobba. La sottile casacca carceraria non lo proteggeva dal freddo; dormire significava coricarsi su luridi pagliericci invasi da cimici e pidocchi.
Subdolamente la tubercolosi cominciò a minare i suoi polmoni.
In quel lager mio padre, isolato dal mondo, non assistito dalla convenzione di Ginevra, fu degradato a internato militare italiano, IMI, acronimo che privava l’uomo di qualsiasi dignità. Ma non rinunciò mai a sentirsi libero. Per questo non è stato un eroe. Eroi sono coloro che fanno qualcosa che non sarebbero tenuti a fare. Aveva giurato fedeltà alla sua Patria e la mantenne, sia pur pagando un prezzo altissimo.
Dopo la liberazione nel ’45, fu curato in vari ospedali d’Italia. Fece ritorno a Melissa solamente nel 1954, permanentemente inabile al lavoro, con i segni indelebili della tubercolosi che lo aveva aggredito nel lager.
Michelina Grillo
– Rassegna stampa
o 18-04-2015 Quotidiano del sud (la citazione)
o 20-04-2015 il crotonese (la citazione)